Caso 1: - “...è difficile sapere dove andare...”: anche assumendo un buon grado di consapevolezza dei propri bisogni, esiste una difficoltà implicita nel definirli in termini di priorità, temporalità, direzione. - in una situazione di questo tipo, è possibile l'insorgere di un'ansia generalizzata, un “...sentirsi inadeguati senza motivo...” - il confronto consapevole tra la lettura della situazione e le regole del contesto in cui si opera può porre l'operatore nella posizione di uno “...schiacciamento sull'applicazione di regole che non si condividono...” - in quanto operatori responsabili dell'andamento della relazione, in queste situazioni si è esposti ad un “fare” che è espressione del potere che ci riconosciamo e del modo a cui vi facciamo riferimento, possiamo cioè: - rimanere sul versante emotivo del percepito, e autorizzarci a non rispettare la regola non condivisa rispetto a quel singolo caso - ne può conseguire un precedente personale che tornerà sia nei confronti di altre persone che degli altri colleghi - aderire al dettato normativo della regola e provare a condividerla con l'utente
- ne può conseguire una dissonanza tra la regola e il vissuto - uscire dal doppio vincolo e aprire soluzioni alternative al conflitto regola/vissuto (testa/pancia) - quando l'operatore si trova in tali situazioni, è possibile che l'utente percepisca quanto sta accadendo; a seconda della modalità di conduzione della relazione, ne consegue la posizione della persona, in cui è molto alto il rischio che “...si metta i propri diritti nel...cassetto...”
Caso 2: - “...è difficile far rispettare il regolamento...” e quando la relazione diventa difficoltosa, le cose “...si risolvono con autorità...” - laddove un nostro intervento diviene operativo, può capitare che si traduca in una sostituzione. È un movimento significativo, sia per noi (in termini di posizione di rilevanza e di attribuzione e auto-riconoscimento di potere), sia per l'utente , che si può sentire protetta/o ma che subisce anche una squalifica implicita del proprio “saper fare” - quando ci troviamo in una situazione che gestiamo nell'ordine della sostituzione, è importante la consapevolezza del nostro intervento; laddove sia dovuto ad un “...non posso scegliere di non farlo...” diventa pertinente chiedersi quanto sia un movimento nostro, quanto sia richiesto dalla situazione, quanto ci sia richiesto dalla persona - se la sostituzione è un movimento nostro, sembra parlare più delle nostre resistenze e dei nostri obblighi che non dirne qualcosa della relazione di cura - se la sostituzione non è richiesta dalla situazione e/o dall'utente, è un movimento non funzionale alla risoluzione ottimale, che può lasciare alla sua conclusione una situazione ancora più critica di quella iniziale - la persona che subisce la sostituzione può provare fastidio per le domande che riceve, non in quanto siano esse scontate (che già sembra dirne qualcosa del loro valore), ma in quanto parte di una manipolazione per cui può essere difficile trovare le risposte attese. E quando si cercano le risposte attese, di solito si è in un movimento che se non è manipolatorio, è implicitamente adattivo
Caso 3: - a volte alla persona in difficoltà serve un pretesto per permettere la domanda di aiuto e/o l'esplicitazione di un bisogno - l'attesa viene percepita come disconferma del bisogno, come una “...fretta di liquidare...”, specie quando l'attesa conduce ad un “...non è servito a nulla..”, che è possibile preludio del “...forse non torno...” - quando come operatori sperimentiamo i limiti del servizio, ci può capitare di trovarci in una posizione in cui percepiamo i bisogni, percepiamo l'impossibilità al dare loro un corso di senso, e può capitare di chiedersi come mai l'utente che abbiamo di fronte si irrigidisca, ma: - la rigidità può essere una reazione normale di fronte alla complessità di un servizio - quando come operatore offro qualcosa di diverso da quanto richiesto dal bisogno, tendo a scegliere il bisogno offrendo un surrogato, che non lo soddisfa, ma lo sposta per sedarlo e/o differirlo - questo movimento può ingenerare meccanismi di “...rassegnazione di fronte al mio desiderio di ...” - può capitare che l'operatore metta in atto della disponibilità personale quando percepisce che l'utente che ha esplicitato un bisogno che non possiamo soddisfare per limiti di servizio perde fiducia nel sistema dei servizi, ma: - la “sfiducia” può essere rivolta al sistema dei servizi, e non necessariamente all'operatore - la disponibilità a offrire “risposte personali” è un favore, e nella logica simbolica del favore è sempre implicito uno scambio di favori, che quindi andranno resi, e non è detto che l'utente possa farlo - rischiamo di condurre la relazione su un terreno minato, in cui scommettiamo sulla scaltrezza, e quindi sulla capacità seduttiva e manipolatoria che ingeneriamo (chiediamo implicitamente che venga messa in atto) - quando l'operatore si trova di fronte a dover dire dei no, ogni spostamento, dilazione e/o soluzione alternativa non cambia la natura del no, rischiando di svalutare la dignità della persona che abbiamo di fronte - “...ogni casa si giudica dalla porta...”, ovvero così come noi misuriamo le persone sulla base dei nostri giudizi, pregiudizi e interpretazioni, allo stesso modo ciò accade alle persone che utilizzano i servizi
- come in ogni relazione, è necessaria grande attenzione alla gestione dei ruoli e alle dinamiche che ne scaturiscono |